mercoledì 29 agosto 2018

Ecco perché Yotobi è il miglior youtuber italiano di sempre


Su YouTube molti canali hanno col tempo portato a casa popolarità e consensi d'ogni genere. Inutile star qui ad elencare i soliti nomi di quegli utenti che hanno reso per se e per gli altri il portale un interessante trampolino di lancio. Mi vorrei però soffermare su uno youtubers in particolare, una personalità che secondo me ha avuto il grande merito di capire a pieno il potenziale di YouTube e che tutt'ora però rappresenta ancora una mosca bianca e una voce inascoltata nell'ambiente. Sto parlando di Yotobi.

Sarà che egli è stato tra i primi ad approcciare a YouTube, sarà che egli è stato tra i primi a pubblicare video con assiduità, tenendo da subito ben presente il fatto che avesse un suo pubblico di riferimento da soddisfare, fatto sta che l'evoluzione del suo canale rappresenta una significativa presa di coscienza. 

Nel senso che Yotobi ha capito che YouTube poteva essere un contenitore di format in cui ognuno cerca di emergere generando contenuti di qualità incentrati su un'idea e una progettualità di base legata alle proprie velleità. Dal primo istante infatti in molti, anche quelli che col tempo sono diventati popolari ed hanno avuto occasioni televisive e cinematografiche, hanno basato i loro video su improvvisate, challenge, mode, cercando la "viralità" a tutti costi, senza cioè concentrarsi su un unico filo conduttore. In questo modo in tanti hanno prodotto dei "contenuti di consumo", dei video che erano già nelle intenzioni destinati a lasciare il tempo che trovavano.

Yotobi però si è posto nei confronti di YouTube considerandolo una sorta di enorme rete televisiva, in cui tutti hanno la possibilità di proporre, senza spendere un centesimo, il loro "format" e di essere valutati e giudicati da una platea consistente. Ad onor del vero devo dire che nella prima fase di YouTube Italia ognuno cercava di offrire un qualcosa, un'idea, che potesse anche essere una semplice lezione di make up o una parodia di un brano, ma che fosse comunque legato ad un progetto di base. E c'è anche da dire che col tempo quest'idea di YouTube è sopravvissuta, come substrato, oscurata in parte proprio dalle challenge, dai video "comici" e quant'altro.

Se cerchi "curiosità" puoi imbatterti in canali relativi a questo tema, ognuno col suo format, nel senso che ognuno affronta l'argomento come meglio crede. Ed allora abbiamo Quby, iCinque, Infinito etc. Se digiti parole come "fantasmi veri" "horror" e quant'altro t'imbatti invece nei canali (e non è un caso poi che anche su YouTube si adoperi questo termini con cui in genere s'indicano i contenitori televisivi) creepy (i miei preferiti) ed anche in questo caso con un'incredibile varietà di offerte. Penso infatti a Real Horror, a Fuoco di Prometeo, Horror Maniaci ma anche il più distaccato e scettico Inspiegabile, etc. E potrei continuare con gli argomenti più disparati: cinema, filosofia, mitologia, cucina, storia etc ...

Purtroppo però da YouTube continua ad emergere il ragazzetto che si spiattella al suolo al grido di "the floor is lava", il bambino che dice "saluta Antonio" e che con una clip di appena 1 minuto e 20 secondi porta a casa un gruzzoletto davvero interessante a serata etc ...

Yotobi invece ha cercato sempre di proporre qualcosa, ha fatto evolvere il suo canale, pagando poi a caro prezzo la scelta di produrre un qualcosa di nuovo e più stimolante per lui. Lo so che non è l'unico ad aver pensato che potesse presentare un suo format e che su YouTube dovrebbero esserci questi tipo di video. Penso ai The Jackal, giusto per citare qualche quasi colosso etc. Ripeto la sua straordinarietà è stata nell'intuire un qualcosa che soltanto dopo sarebbe emerso ma sopratutto che quando lo avrebbe fatto sarebbe stato quasi del tutto ignorato, sia dai canali sia dagli stessi visitatori del Tubo. Purtroppo sono pochi i canali che propongono per davvero "un qualcosa" e che allo stesso momento ottengono gli stessi risultati delle challenge e delle risse. E dovremmo essere noi a cercare questi contenuti, a seguirli e a farli crescere.

Yotobi dunque è il miglior youtubers italiano perché ha intuito che un youtubers non è solo un youtubers. Ossia in primis che fare video sul web può significare avere delle idee e non essere un qualcuno per poterle mettere in pratica al cinema, in tv, su carta stampata, e così via. E poi perché Yotobi è un comico, un appassionato di Stand Up, un conoscitore di film, etc. E per quanto ci siano tanti altri canali aventi la stessa qualità o persino maggiore, bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, sottolineando l'importanza di essere un pioniere, di essere il primo a capire o a mettere in pratica una cosa.

Yotobi ha annunciato che a breve lascerà YouTube perché giustamente cercherà altri canali espressivi e perché in fondo non si può essere youtuber a vita (o forse si?). Mi auguro che i teatri, i locali e tutti coloro che possano dargli una possibilità non siano ingrati nei suoi confronti e gli diano la possibilità di esprimere il suo immenso potenziale.


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Storia della parola napoletana: 'ntufato


A Napoli ancora oggi, quando una persona ci appare più gonfia del solito, appesantita da una momentanea cattiva alimentazione oppure ispessita da uno o più morsi di zanzare, vespe e quant'altro diciamo che è " 'ntufato/a".

Questa parola, come al solito, non ha un perfetto corrispettivo in italiano. Potremmo dire che sta per "eccessivamente gonfio" ma solo in parte rende l'idea. Anche perché spesso questo lemma porta con se un carico di disprezzo di chiara matrice etica.

Nel senso che una persona può essere 'ntufata perché piena di rabbia, invidia, rancore ma anche perché troppo avida. La parola può anche far riferimento a cose o situazioni particolari. Un qualcosa che è stato addobbato in maniera pacchiana perché carico di pinzillacchere si dirà 'ntufato e roba! Un piatto troppo ricco, eccessivamente elaborato e guarnito sarà 'ntufato. Oppure un cibo troppo pesante avrà come effetto che "te siento 'ntufato" o ancora potreste "tenè'o stommaco troppo 'ntufato". Persino gli occhi, se colpiti ripetutamente, possono presentarsi come 'ntufate!

Da dove deriva quest'espressione? C'è chi sostiene che derivi dalla pietra di tufo molto nota ai partenopei, dato che è presente un po' ovunque per la città. Chi pensa che sia questa l'etimologia si poggia sull'idea di pesantezza di carattere. 'ntufate, cioè un animo pesante come il tufo.

In realtà è un errore. La strada che porta a questa parola ha delle origini molto antiche ed affonda le sue radici nei pressi degli osci. Questa popolazione adoperava un particolare strumento ad aria, una conchiglia di mare, ad oggi divenuta strumento a tutti gli effetti, la tufa.

Anche oggi esiste dicevo ed appartiene alla famiglia degli aerofoni ed è nota come tofa. I romani faranno loro sia questo termine che questo strumento portando però alla luce la tuba, tradotto "tromba". Nella Campania Felix però sia la conchiglia che la parola sono sopravvissuti e la parola 'ntufato conserva memoria culturale di ciò.

Suonando la tufa, questa particolare conchiglia di mare, le guance si gonfiano a dismisura, fin quasi a sgonfiare. Da qui il termine 'ntufato, cioè gonfio a dismisuro, come un suonatore di tufa (oggi tofa).



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lunedì 27 agosto 2018

L'arte converte il male? La risposta nei romanzi di Giorgia Tribuiani



I romanzi contemporanei hanno tanto da dire. Coinvolgono altre forme d'arte, esplorano l'uomo, usufruiscono dei recenti sviluppi delle scienze e delle discipline umanistiche, guardano al presente e poi se ne staccano. Giorgia Tribuiani guarda con preoccupata ammirazione l'essere umano e dalle sue osservazioni trae del materiale molto interessante per i suoi romanzi, veri e propri viaggi psicologici.

1) Come definiresti il tuo stile?

 Nel mio romanzo "Guasti", avendo l'obiettivo di portare il lettore direttamente nella mente della protagonista, ho optato per un largo uso del discorso indiretto libero, con passaggi tra prima, seconda e terza persona: questa scelta ha generato torsioni sintattiche e uno stile talvolta piano (per esempio durante i dialoghi), talvolta ossessivo e ridondante, appunto per sottolineare lo stato alterato di Giada. Scelte stilistiche sono anche l'assenza dei virgolettati e frasi che si concludono senza punteggiatura o con un semplice trattino.

2) L'arte, posta anche in maniera inquietante, fa da sfondo al romanzo. Come mai questa scelta? C'è un qualcosa di inquieto nella protagonista? L'arte è un modo per appagare o amplificare questo stato quasi psicotico dei personaggi?

Il verbo che sento più mio, riguardo al rapporto tra arte e inquietudine, è “convertire”: credo che l’arte possa prendere il male, il dolore, quello che di vero c’è nella sofferenza e provare a convertirlo in qualcosa di bello; trasformare una forza che nasce per distruggere in una forza creatrice.
La stessa Giada, durante un monologo che è per me una sorta di dichiarazione di poetica, afferma che l’arte permette di “trovare al male un senso e una posizione; una giustificazione”. Il dolore, se trasformato in opera, cessa di essere gratuito e diventa forse più tollerabile.

3) Nel tuo romanzo poni la protagonista dinnanzi ad una scelta davvero lacerante. Simbolicamente cosa hai voluto rappresentare? Il dubbio che ruolo ha nella tua narrativa?

Con la morte (e trasformazione in opera d’arte) del compagno, e successivamente con l’acquisto del cadavere plastinato da parte del collezionista, Giada è chiamata a rispondere a questa domanda: vuoi continuare a vivere all’ombra di un altro, a cercare alibi, a scegliere di non partecipare al gioco della vita nell’illusione che chi non gioca non possa perdere? oppure è arrivato il momento di abbandonare la condizione di “guasto” esistenziale e provare finalmente ad agire?
Io penso che il dubbio sia l’anima di un’opera di narrativa. Come lettrice ho sempre amato i libri capaci di stimolare in me una riflessione, un pensiero nuovo, così il mio desiderio era che anche il mio romanzo si presentasse come un “libro di domande”, evitando di offrire risposte preconfezionate ai lettori.

4) Quali sono le domande che insorgono dalla lettura del tuo romanzo?

Sono presenti quesiti espliciti che riguardano la natura dell’arte (un uomo può essere un’opera d’arte? esistono dei limiti etici a ciò che può essere definito arte?), mentre credo che le domande relative alle relazioni assumano sfumature diverse a seconda dell’occhio che legge: ci si può chiedere fino a che punto sia giusto vivere in funzione di qualcun altro; ci si può interrogare su quante volte questo altro non sia solo un alibi utile a giustificare la nostra immobilità; ci si può guardare e domandarsi: lo sono anche io, “guasto”? riesco a lasciare andare un passato che ha smesso già da tempo di farmi sentire “vivo”? In questo senso la storia di Giada vuole essere uno specchio: offrire spunti che poi, arrivati al lettore, possano diventare domande.

5) Alle domande esplicite presenti nel romanzo dai delle risposte altrettanto chiare?

No, come accennavo il mio desiderio è proprio di far sì che sia il lettore a trovare le proprie risposte, senza riceverne di preconfezionate. Ovviamente  trattandosi poi di un romanzo capita che a emergere siano le riflessioni della protagonista, risposte che tuttavia non necessariamente coincidono con quelle dell’autrice: nel momento in cui Giada afferma di trovare inaccettabile la trasformazione di un uomo in opera d’arte, non bisogna dimenticare che a parlare è una donna coinvolta emotivamente da questa trasformazione.

6) Progetti futuri?

Ho scritto un nuovo romanzo che si intitola “Blu”: è la storia di un’ossessione nei confronti della colpa; della scissione di una personalità che vuole a tutti i costi proteggere ed esercitare la purezza ma non riesce ad annientare la propria metà oscura. Presenta diversi punti di contatto con “Guasti” e con il mondo della performance art, e apre con una frase di Antonin Artaud: "Credo che da me venne fuori un essere, un giorno, che pretese d’essere guardato".

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venerdì 24 agosto 2018

Che cosa è la danza del fuoco? Lo abbiamo chiesto all'artista Toi Ahi



L'arte della danza va al di là degli stili che siamo soliti osservare in tv o nei grandi teatri. D'altronde dietro a quei passi spesso si cela una grande radice storico culturale, legata al folklore popolare. Questo è ciò che accade anche con la danza dl fuoco.


1) Che cosa è la danza del fuoco? Segui schemi consolidati o hai uno stile tutto tuo? Se si, quale?

Questa è una domanda difficile ma proverò comunque a rispondere. La danza del fuoco per me è passione, arte, sentimenti, euforia, felicità, sofferenza. Insomma è sentirsi vivo. La danza del fuoco è storia: è un antica danza che proviene dalla tribù Maori, diffusasi nell'occidente dove ha avuto una sua evoluzione. I poi (conosciuti volgarmente come catene o bolas) hanno avuto una lunga storia: all'inizio erano delle sacche utilizzate dai cacciatori dove venivano riposte le uova degli uccelli, poi sono stati usati per la caccia (le bolas), successivamente sono diventati uno strumento sportivo. Il loro uso si è evoluto ulteriormente in una danza cantata praticata da sole donne. Da questo momento vengono utilizzati per creare coreografie e per dare un ritmo sul quale cantare. Infine sono arrivate in occidente dove c’è stato uno studio per lo sviluppo delle geometrie e una volta unito questi alla danza c'è stata un'ultima evoluzione con cui la danza del fuoco è diventata quel che oggi  conosciamo.

Lo stile è esclusivamente il mio, essendo autodidatta, ho unito tutto il mio bagaglio personale a ciò che la danza del fuoco mi trasmette. All'interno del mio spettacolo si può notare lo stile delle arti marziali, che ho praticato per gran parte della mia vita. Lo spettacolo ha uno schema ben preciso è costruito su delle basi sonore suggestive elaborate appositamente per ogni singolo strumento, oppure è realizzato con la collaborazione di alcuni gruppi musicali dal vivo tra i quali le Tre Cipole.

2) Ti esibisci danzando uno stile proveniente da una cultura distante dalla nostra. Il pubblico come recepisce le tue performance? Le apprezza? In genere dove ti esibisci?

Lo stile che io adotto e che la maggior parte gli artisti adottano oggi è lo stile occidentale con un interpretazione personale. Per quanto riguarda il mio pubblico, dovresti parlare direttamente con loro per sapere cosa arriva della mia arte. Posso dire che per me il pubblico è l'energia che mi serve per portare a compimento il mio spettacolo e la spinta per continuare questo bellissimo viaggio. Oggi come oggi la mia più grande passione è il pubblico e personalmente è il momento più importante dello spettacolo. L'incontro con il pubblico una volta terminata la performance è una grande emozione: il vedere tante persone felici è la cosa più bella che possa tornarmi. Il pubblico per me è come uno specchio dove posso vedere ritornare una parte di ciò che ho trasmesso con la mia arte.

3) Esistono altre forme di danza nostrane ma anche relative ad altre culture che andrebbero riscoperte? Stai lavorando su altri progetti relativi a questa scoperta?

Non ho mai approfondito questo argomento, la mia passione deriva dalla giocoleria e si è evoluta con la scoperta del fuoco.

4) Sbaglio o i media danno tanto spazio a solo poche forme di danza. Sei d'accordo? Secondo te perché accade ciò? L'attenzione verso la danza del fuoco sta aumentando?

A questa domanda non so dare una risposta adeguata in quanto non seguo la parte dei media.

5) Progetti futuri?

Non ho progetti questa mia passione è nata per una casualità e sta continuando per inerzia. Non so per quanto tempo ancora mi esibirò, sono una persona che tiene molto alla propria salute e per il mio spettacolo occorre l’utilizzo di materiali tossici. Proprio per questo ogni anno cerco di incrementare le mie protezioni personali per poter continuare la mia arte in sicurezza. Questo non è il mio principale lavoro e voglio che tutto ciò rimanga come una passione, mantenendo così uno spirito d’avventura e quella passione che mi ha sorpreso quando ero un bambino. Per il momento continuerò questo bellissimo viaggio che mi porta alla riscoperta delle città e dei borghi italiani e a trasmettere la mia passione sempre a più persone.


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Normalità e follia nel thriller di Elia Banelli



Per gli scrittori c'è una buona notizia. Diverse case editrici sono disposte a pubblicare il loro romanzo. Si tratta di piccole realtà ma molto utili per farsi conoscere e fare gavetta. Per questo stiamo riuscendo a parlare con molti autori, tracciando un percorso d'indagine sulla cultura contemporanea. Tra questi autori oggi abbiamo avuto modo di conoscere Elia Banelli.

1) L'uomo dei tulipani è incentrato su un indagine sorprendente, generata dalla mente contorta di un assassino spietato. In cosa il tuo thriller si differenzia dagli altri dello stesso genere? In quali novità narrative s'imbatterà il tuo lettore?

A mio parere la novità introdotta dal romanzo è la presenza di un atmosfera meno cupa, tipica del thriller classico metropolitano, ma più scanzonata e aderente alla realtà, senza rinunciare alla suspence, seguendo lo stile del giallo italiano di provincia. I personaggi risultano complessi e interessanti, ognuno con le proprie sfumature psicologiche, ma rientrano in una sfera di credibilità che li rende familiari e simili ai nostri amici, conoscenti o vicini di casa. Il tempo della narrazione è scandito dalle abitudini della vita quotidiana. Anche in presenza di un’indagine o di un omicidio non si rinuncia, per esempio, a bere un caffè o mangiare un panino al bar in pausa pranzo o concedersi una battuta che sdrammatizza.

2) Anche perché l'Italia è diversa dal punto di vista della criminologia rispetto agli states. Dai noi manca una presenza così costante e forte di "killer psicopatici". Ciò ti ha spinto a creare un colpevole più "disturbato" al fine di mettere alla prova la tua fantasia e quella del lettore oppure hai creato un nemico più vicino alla nostra quotidianità? O ancora hai cercato un punto d'incontro?

Si, l’immagine del serial killer è senza dubbio una componente tipica della società americana. Da noi vige di più l’ambiguità della “zona grigia”, il confine labile tra normalità e follia, quella forza inspiegabile che induce persone all'apparenza tranquille e considerate “normali” a compiere una strage o azioni criminose imprevedibili. I miei personaggi subiscono così una lenta e graduale degenerazione verso la zona oscura, l’abisso della mente da cui non c’è ritorno o redenzione. L’immagine dell’uomo qualunque che viene risucchiato dal Male la ritenevo più affascinante e più in grado di stimolare la mia fantasia, anche perché è più imprevedibile e in linea con la realtà della nostra società, a cui aggiungo l’ipocrisia, il perbenismo, l’arrivismo spicciolo e l’arroganza del potere e dei piccoli notabili di provincia. Tutte caratteristiche che a macchia di leopardo coinvolgono i miei personaggi.

3) Perché nel nostro paese i "mostri" sono persone normali che d'un tratto degenerano? Qual è la fondamentale differenza sociale che passa fra l'italia e gli U.S.A?

Da noi storicamente è così,  a parte gli omicidi del “mostro di Firenze” sono rari i casi di serial killer in Italia. Il perché è difficile da spiegare sociologicamente. Senza dilungarsi in discorsi complessi, direi che mentre gli Stati Uniti sono una società più giovane e complessa, più moderna e recente, quindi maggiormente  dedita alla”spettacolarizzazione” dell’immagine e alle “dimensioni amplificate” degli eventi, il nostro resta un paese in sostanza piccolo, spesso provinciale, ancorato a tradizioni post-contadine e con una forte presenza della cultura cattolica. Questa caratteristica di società in apparenza “chiusa” all'esterno produce una dimensione “privata” molto più vivace, occulta e imprevedibile rispetto alla sua immagine esterna. Da noi il Male germoglia a poco a poco perché è limitato dal controllo della comunità e della società. Negli States ci sono meno filtri.

4) I personaggi nei tuoi romanzi vivono una condizione periferica? Vivono una condizione sociale repressiva?

In realtà quasi tutti i personaggi del romanzo vivono una condizione sociale piuttosto “benestante” e all'apparenza appagante. E’ il tipico benessere della provincia italiana che conduce alla noia e alla costante ricerca di “emozioni forti” che scatenano azioni imprevedibili e borderline. Solo un paio di loro subiscono davvero una condizione di regressione economica che li porta a compiere (o voler compiere) una serie di azioni criminose. Per il resto quasi tutti i personaggi non sono repressi economicamente ma lo sono socialmente e psicologicamente, poiché in alcuni di loro si sviluppa quel “male di vivere” tipico delle società moderne e sviluppate. Per azzardare un paragone: c’è poco Emily Dickens e molto American Psyco anche se con le dovute caratteristiche “italiane”.

5) La società italiana verso quale direzione si sta evolvendo? Sempre piu vicina o distante dai bisogni psicofisici dell'individuo?

Viviamo un paradosso generale dettato dal progresso tecnologico: con internet e i social siamo ovunque, sempre connessi con il mondo, ma nello stesso tempo siamo più soli e chiusi in noi stessi. Rispetto a venti anni fa vedo la società italiana più introversa e superficiale, più egoista e diffidente. Abbiamo a disposizione una marea di informazioni ma siamo più poveri nel linguaggio, approfondiamo di meno, leggiamo di meno, siamo più vittime di propaganda e fake news. In questo senso siamo più distanti dai bisogni essenziali dell’individuo. Solo una fetta ristretta della società, una nicchia, riesce a vivere pienamente e consapevolmente le ricchezze della vita. Gli altri, in genere, si accontentano di postare una vita artificiale su Facebook e Instagram.

6) Progetti per il futuro?

Continuare a scrivere, perché è la mia passione e ragione di vita, senza non sarei me stesso. Sto lavorando al sequel de “L’uomo dei tulipani” e mi auguro che verrà  letto e apprezzato come il primo romanzo.

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Il codice barbaricino sullo sfondo del romanzo "Nessuno è intoccabile" di Thomas Melis



L'indagine targata Il Condominio continua irrefrenabile. Ciò che sta venendo alla luce è una dimensione letteraria contemporanea davvero ricca. Come dimostrerà quest'altra interessante intervista è il nostro territorio, con la sua varietà culturale ed ambientale, a fornire tanto materiale per interessanti spunti letterari.

Oggi abbiamo avuto il modo di chiacchierare con un altro giovane scrittore ossia Thomas Melis. Abbiamo avuto modo di analizzare meglio alcune sue opere tra cui il suo ultimo romanzo "Nessuno è intoccabile".

1) Nel tuo romanzo "Nessuno è intoccabile" delinei un contesto molto oscuro. Due terribili famiglie mafiose si scontrano e nel bel mezzo si eleva un politico senza scrupoli che ne vuole approfittare. Perché hai creato un'ambientazione così pessimistica? Quanto ti ha influenzato il tuo personale contesto sociale? Nel romanzo appaiono poi spiragli di luce?

Inizio dicendoti che le famiglie non sono mafiose, Questo è un punto dirimente in quanto il romanzo sostiene una teoria, che poi è una realtà, molto nota tra chi si occupa di cose della Sardegna, ossia che non ci sia la mafia in Sardegna. Mafia intesa come art. 416 bis del codice penale, e comunque come realtà ben precisa. Il noto sociologo calabrese ed ex vice segretario dell'Onu, Pino Arlacchi ha scritto un saggio con questo titolo "Perché non c'è la mafia in Sardegna", che assieme a "La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico" ha fornito le basi teoriche per la stesura della storia.

Chiarito questo punto, ti dico che le famiglie appartengono a una certa criminalità endemica dell'interno della Sardegna e sono impegnate in una faida - una disamistade - decennale che, appunto, dei politici spregiudicati intendono manovrare per sviluppare un progetto speculativo su un tratto di costa fino allora incontaminato.

Ovviamente il contesto sociale in cui sono cresciuto ha influenzato molto la storia.

2) La disamistade è un aspetto sociale che ha colpito anche Fabrizio De André. Si tratta di un fenomeno davvero così diffuso? In cosa consiste nello specifico?

Fortunatamente il fenomeno si è attenuato fortemente negli ultimi decenni ma è anche vero che periodicamente ricompare qualche episodio collegato a una storica disamistade. De Andrè ha dato tanto a questa terra e quindi non sorprende che abbia studiato e raccontato in una canzone questo fenomeno. La disamistade è la guerra tra due famiglie combattuta secondo le regole non scritte del codice barbaricino, un antichissimo insieme di norme che regolavano la vendetta in gran parte della Sardegna. L'influenza del codice barbaricino ha plasmato una certa forma mentis della società sarda e, secondo Arlacchi e altri sociologici, è la principale ragione dell'assenza di un'organizzazione criminale di stampo mafioso nell'isola.

3) Eppure un'ambientazione così oscura da l'impressione che nel tuo romanzo manchino personaggi positivi. E' vero? Se no, quali sono questi personaggi e quale ruolo avranno all'interno della trama?

Il romanzo è fortemente pessimista per quanto riguarda l'umanità, come il mio precedente lavoro, ma questa non è una novità nella narrativa e nelle scienze sociali. Da Machiavelli a Hobbes in tanti hanno visto nell'uomo un lupo per i propri simili, io mi sono semplicemente rifatto a queste scuole filosofiche. Un personaggio positivo però c'è tra le pagine di Nessuno è intoccabile. Si chiama Aurora Mele, una delle donne forti che tirano le fila della storia. Non posso dire che ruolo avrà nella storia ma ricopre una funzione fondamentale: rappresenta l'irriducibilità della società sarda ad accettare i soprusi e le ingiustizie.

4) Pensi che sia questo il freno alla deriva dell'homo homini lupus ossia il contrasto al soppruso? O questa volontà non fa che incrementare il fenomeno?


La natura stessa dell'uomo è homo homini lupus, quindi non esiste un freno a questa deriva. L'irriducibilità, personificata da Aurora Mele, ha però sicuramente impedito che in Sardegna accadessero tante brutte cose che invece hanno avuto luogo nel resto dell'Italia e non solo.

5) In "A un passo dalla vita" però l'ambientazione è una Firenze gelida e violenta. Hai voluto partire da una città estranea alla tua regione di appartenenza per marcare il contrasto fra l'irriducibilità sarda e il resto del mondo? Sei pessimista anche per quanto riguarda il futuro? Qual è l'ultima speranza per l'umanità?

No, non ho scelto Firenze per marcare la distanza tra quello che noi chiamiamo "il continente" e la Sardegna. L'ho fatto perché la conosco e la amo, e perché si prestava come scenario perfetto per la storia di A un passo dalla vita. Ho voluto segnare sì un distacco, ma quello tra me come narratore e la mia terra. Non volevo essere ettichettato come autore sardo che scrive solo si Sardegna e quindi ho voluto che il mio esordio fosse ambientato in un altro luogo. Tagliato il cordone ombelicale sono poi potuto tornare alla mia isola, che è tanto bella da riuscire a oscurare tutto il resto.

Sono molto pessimista per quanto riguarda il futuro dell'umanità e, sinceramente, di speranza non ne vedo tanta attorno.

6) Progetti futuri?

Per il momento spero di aggiungere date al piccolo tour promozionale che quest'estate ha portato Nessuno è intoccabile in alcune librerie ed eventi culturali. A novembre invece uscirà una nuova edizione di A un passo dalla vita, con una nuova veste grafica, attraverso cui spero di far conoscere a tanti lettori il mio romanzo d'esordio. Dovrei poi iniziare a lavorare a un nuovo libro ma diciamo che sono ancora in una fase embrionale a cui dovrà seguire una lunga ricerca prima di poter veramente dare il via ai lavori.



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lunedì 20 agosto 2018

Qual è il rapporto fra i vaccini e l'etica?



In precedenza ci siamo occupati dei vaccini e del fatto che bisogna renderli obbligatori. Infatti abbiamo dimostrato come lo Stato sia stato da noi stessi autorizzato a prevaricare la nostra libertà ed imporci la sicurezza. Dal punto di vista strettamente etico in teoria ciò è scorretto eppure in pratica questo precetto morale crolla.

I vaccini quindi ci fanno riflettere su ciò che è etico ma sopratutto su cosa indichi questo termine. Perché la morale è fra quelle componenti che guidano una società e ancor di più la sua produzione di leggi. Ciò che etico è giusto? Sembra un quesito tautologico eppure la morale di un tempo imponeva la sottomissione delle donne! All'epoca qualcuno avrebbe definito poco etico che una donna lavorasse ma in se per se, in qualsiasi tempo e luogo, una persona dovrebbe avere il pieno diritto di svolgere una qualsiasi professione e ciò non dovrebbe essere determinato da un qualcosa di estraneo dalle sue capacità e dai suoi studi.

Dunque tra ciò che è giusto e l'etica passa una grossa differenza. Il primo è un dato oggettivo che va ricavato dopo una profonda riflessione circa l'evidenza dei fatti. Mentre l'etica cosa è? Chi determina i costumi e per quale motivo? La risposta è duplice. Se da un lato infatti la morale e tutto ciò che la riguarda nasce in maniera spontanea dalla vita di tutti i giorni delle singole popolazioni è anche vero che l'etica è un dispositivo politico.

Inutile negare che i governanti da sempre tendono ad imporre idee e ad influenzare l'opinione pubblica. Nel senso che se è vero che delle consuetudini possono trasformarsi in provvedimenti specifici e anche vero che dall'alto spesso certe idee vengano accolte dal basso come la soluzione ad ogni problema. L'etica dunque è un dispositivo politico con cui però non sempre si manipola la massa informe! Si tratta di uno strumento e come tale può avere sia un'accezione positiva che negativa. Il punto è che fra guidare e manipolare passa una grossa differenza.

Essere al capo di un governo significa avere il delicato compito di gestire una gran moltitudine di gente. E la coercizione non basta affatto e può avere anche un effetto controproducente. Imporre i vaccini è giustissimo ma è necessario anche un profondo lavoro culturale. Ed ecco dunque che entra in gioco questo profondo dispositivo politico ossia l'etica. Si tratta di un motore immobile interiore grazie al quale noi facciamo ciò che è giusto al di là del fatto che è imposto perché in noi è ben saldo il vantaggio collettivo derivato da questo nostro comportamento individuale.

Se la morale può essere creata ciò significa che rappresenta una grossa responsabilità. Ad oggi bisogna chiedersi come impostarla, quali caratteristiche deve avere, al fine di rendere più semplice e fattibile la gestione della cosa pubblica, il suo indirizzarla verso ciò che è davvero giusto. Dato che l'etica riguarda il benessere di tutti e dato che ogni società è composta da tante tipologie di persone è chiaro che deve essere inclusiva e mai esclusiva. Qualsiasi morale preveda un nemico pubblico, una categoria da stigmatizzare, è ingiusta e pericolosa. Non si deve andare troppo lontano per capirlo: basti pensare alle grandi dittature del passato, ma anche alla sofferenza di tante donne o di tante razze ritenute inferiori e così via discorrendo.

Tuttavia questo passaggio incontra un grande bivio se pensiamo proprio ai vaccini ma anche a tutti quei razzisti alla quale ormai siamo abituati. Sui primi discutiamo dopo, in quanto vorrei subito concentrarmi su quelle forze politiche e su quelle persone che dietro al "ognuno la pensa come vuole" nascondono la propria intolleranza. Penso che a riguardo la miglior risposta l'abbia data Popper con il suo paradosso. 

Se infatti lasciassimo agli intolleranti il diritto di esserlo e di professare la loro idea, la tolleranza rischierebbe di essere spazzata via. Mai riflessione filosofica fu così attuale. La tolleranza per essere tale deve essere intollerante verso l'intolleranza. Quindi l'etica deve essere inclusiva ed escludere chiunque voglia escludere. Non si può accettare che qualcuno possa dire che le donne non hanno diritto di lavorare o altro. Dunque la morale deve essere inclusiva ed antitollerante. Stesso discorso per i novax e tutti i movimenti simili? Si, assolutamente.

Se è vero che la morale è uno di quei dispositivi politici atti al benessere collettivo, deve spingere le persone a fare scelte corrette ossia soggette a verità e ragione. E quali sono queste certezze per cui il benessere di una massa viene tutelata? Le verità scientifiche, ovvio! Le stesse per cui diviene palese che non c'è alcuna differenza biologica fra un bianco e un nero oppure che non c'è alcun pericolo nel vaccinarsi. L'etica dunque è un potente strumento politico ma può anche essere pericolosa se non rispetta tre criteri: inclusione, antiintolleranza e scientificicità.


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