Partiamo da una domanda fondamentale: cosa ci impedisce di
commettere un reato? La certezza della pena, la consapevolezza di una severa
punizione, i nostri principi morali o l'impossibilità fisica di poter fare una
cosa? Non sto parlando ne in senso astratto, ne partendo dal presupposto che
ogni individuo è un fatto a se e che dunque se a me frena l'idea di dover
scontare trent'anni di carcere ad un altro potrebbe non spaventare l'idea!
Sto parlando proprio di un'ipotesi reale. Mettiamo il caso
che io e una persona che odio a morte ci ritroviamo in uno spazio ben definito
e delimitato. Quale fra queste situazioni rendono per davvero improbabile che
la mia rabbia nei suoi riguardi si traduca in un gesto efferato?
Il fatto che io sia sicuro che commesso il crimine venga
giustamente punito, la conoscenza degli
anni di carcere che potrei scontrare, il rispetto che io ho per la mia vita e
dunque per quell'altrui, il fatto che il mio rivale possa trovare una
struttura, pronto ad ospitarlo, nel caso in cui ci sia un'alta probabilità che
io voglia fargli del male?
Per assurdo e per astratto, già l'ultima probabilità appare
come quella più sicura per il soggetto a rischio. Nel primo caso infatti la
disperazione potrebbe portarmi ad accettare il mio destino ossia la condanna
verso cui sto andando. Nel senso che non ho più nulla da perdere e per quanto
mi riguarda posso barattare la mia libertà per il piacere di vedere morto il
soggetto in questione. E dunque ciò vale anche per la seconda ipotesi. Ancora
più fragile appare il discorso etico, in quanto se fosse la sola morale a
trattenerci e nessun pericolo oggettivo sul piano del nostro benessere
materiale, a quest'ora si sarebbero consumate non poche tragedie. In ogni caso
invece l'idea per cui io abbia l'impossibilità strutturale di commettere il
crimine, garantisce il massimo delle possibilità che il reato non avvenga.
Prendiamo in analisi il problema della guida in stato di
ebbrezza. Anni e anni di multe salatissime, patenti ritirate, veicoli
sequestrati, condanne penali esemplari ed anche spot pubblicitari, campagne di
sensibilizzazione, film, serie tv e quant'altro eppure ad oggi stanno arrivando
sul mercato le prime vetture con alcool test incorporato, le quali non si
accendono se il conducente non risulta sobrio, rendendo dunque impossibile al
100% che una persona possa guidare ubriaca. E nonostante le persone ad oggi
sanno bene quanto sia pericoloso guidare con uno stato alterato e quanto si rischi
dal punto di vista legale, soltanto quando le vecchie vetture saranno
rimpiazzate dalle nuove, potremmo avere la sicurezza che nessuno si potrà
mettere al volante dopo aver consumato del vino.
Tornando poi al discorso precedente, nel concreto, fra le
probabilità inquadrate, la quarta risulta addirittura rafforzata. Perché ad
oggi troppi sono gli esempi di ingiustizie che sminuiscono la nostra fiducia
nella legge e nelle istituzioni, oltre al fatto che in un raptus di follia un
individuo vede sparire ogni sua
convinzione etica, tutte le sue paure e la totale conoscenza dell'esistenza di
forze dell'ordine e di un codice penale.
In questo percorso possiamo trovare una tappa necessaria che
risulti poi essere assai attuale ossia la sicurezza delle cosiddette
"minoranze", termine che non ritengo adeguato nel definire un qualsivoglia
essere umano. Nello specifico trovo che la comunity LGBT abbisogna di strutture
che ne garantiscano non solo la sicurezza ma anche la giustissima possibilità
di essere se stessi ed esprimere la propria identità.
Mettiamo il caso di una ragazza lesbica picchiata dal padre per
il suo orientamento sessuale. Per carità lei, come qualsiasi altro cittadino,
ha a disposizione alcuni strumenti per tutelare la sua persona, come una
denuncia. E poi dopo cosa accade? Potrà mai restare in quel nucleo familiare
che ogni giorno la priva della dignità? Con quale tranquillità potrà
condividere uno spazio vitale con la stessa persona che ha denunciato? Potrà
vivere con gli zii, gli amici etc andando a zonzo come un pacco postale. E non
è forse questa un'ulteriore forma di violenza dell'identità dell'individuo? Non
è raro poi che un intero contesto familiare o addirittura un intero paesino
possa trovare deplorevole un naturale
orientamento sessuale quale l'omosessualità. In quel caso il soggetto potrebbe
sentirsi solo e potrebbe vivere una reale e costante minaccia. Per non parlare
poi della spada di Damocle che rappresenta il poter essere cacciati di casa da
un momento all'altro. Una sorta di moderna scomunica genitoriale, uno strumento
che certe madri e certi padri, privi di scrupoli, adoperano per impedire ai
loro figli di vivere con naturalezza la loro sessualità e di poterne parlare
pubblicamente.
Quindi, tornando al discorso che abbiamo fatto in
precedenza, possiamo capire quanto delle strutture per ospitare gli individui
LGBT possano impedire fisicamente ad omofobi violenti di commettere gesti di
ogni genere che vanno dal vandalismo all'aggressione vera e propria e che
purtroppo ancora oggi spesso sfociano in omicidi veri e propri.
In queste strutture chiunque ha la possibilità di essere se
stesso, senza correre il rischio di subire violenza proprio laddove dovrebbe
essere garantito il massimo del suo benessere ovvero in casa propria. Non va
questa considerata una forma di ghettizzazione delle persone LGBT+. In primis
perché nessun omosessuale, nessun transessuale, sarebbe prelevato da casa sua e
costretto a rinchiudersi in questi luoghi ma potrebbe farlo, di sua spontanea
volontà, in vista di qualche significativa minaccia subita in casa sua e da
qualche parente o persona troppo vicina alla sua vita. Inoltre sarebbe solo uno
strumento di tutela dell'individuo collegato però ad una rete di iniziative,
atta alla sicurezza di ogni cittadino.
Nel senso che un'idea del genere potrebbe diventare una
forma di isolamento spontaneo, di auto ghettizzazione, se scevra da altre due
importanti operazioni. La prima è quella che abbiamo già in precedenza
elencato. La legge deve comunque garantire la certezza della pene e sanzioni
esemplari. Quando prima ho infatti mostrato quegli scenari, non l'ho fatto
basandomi sull'idea fallace per cui esiste un diritto preventivo ed uno
punitivo, l'uno contro l'altro.
L'ho fatto al contrario per ricordare che la Legge deve
avere una duplice faccia e che ad oggi solo quella legata alla condanna viene
presa in considerazione, dimenticando che la società viene costituita dagli
individui in vista della loro sicurezza. Si tratta di un'impalcatura che i
nostri antenati misero su, in vista di una tutela reciproca. Tuttavia ogni
forma di prevenzione alla violenza, diventa una paradossale forma di prigionia,
se non viene punito chi ci condanna a trovare un rifugio. Anzi se ci fossero
solo queste case di accoglienza statali per LGBT ma anche per donne vittime di
stalking e quant'altro, senza l'assoluta garanzia che il carnefice possa essere
arrestato e severamente punito per le sue gesta, si scatenerebbe addirittura
una reazione inversa, accentuando ossia la violenza che si tenta di lottare.
Perché il carnefice, forte del fatto che la giustizia si
perderà in beghe burocratiche o sarà incapace di incastrarlo, per fare degli
esempi, ma consapevole che l'oggetto del suo odio potrà fuggire di casa per
trovare rifugio in una struttura statale preposta a ciò, potrebbe accentuare la
sua furia ed accelerare il suo sanguinoso progetto.
Quindi lo Stato deve creare queste strutture e fare in modo
che garantiscano agli ospiti condizioni adeguate di esistenza, sforzandosi di
mantenere sempre la certezza della pena al di fuori di queste, affinché nessuno
abbia la possibilità reale di far del male. Perché statali? Perché pagare le
tasse significa mettere i propri sforzi in un calderone e vedere che da questi
escano una serie di cose per tutti coloro che si impegnano nel versarci dentro
il proprio denaro e quindi il proprio lavoro.
Tra queste cose spicca proprio la sicurezza. Le persone
LGBT+ pagano le tasse come tutti quanti gli altri ma da questa società che loro
stesso nutrono vedono arrivare solo violenza e privazioni d'ogni genere. Per la
questione coperture le soluzioni ci sono, come ci sono per tante altre
faccende, ma non è questo il luogo in cui discuterne.
Infatti esiste già qualche piccola sperimentazione relativa
al rifugio per LGBT perseguitati e soggetti a violenza, ma è chiaro che i
privati possono ben poco, avendo risorse decisamente limitate. Ovviamente col
tempo gli individui che hanno chiesto rifugio lavoreranno al fine di sostenere
la struttura ma ciò in parte sarà determinato da una certa spontaneità, legata
alla natura umana di creare legami e affetti, riuscendo a costituire famiglie
non parentali.
Queste case di rifugio statali come dicevano debbono
reggersi su un duplice lavoro. Il primo è appunta la certezza della pene e il
secondo invece risulta essere un lavoro culturale. La vera conquista non sarà
garantire agli LGBT una sicurezza totale ma che un giorno queste strutture non
abbiano più ragion d'essere. Nel senso che lo Stato, così come si fa carico
della formazione del cittadino, informandolo anche su questioni che vanno al di
là delle conoscenze tecniche, quindi i rischi del consumo dell'alcool, il
rispetto della donna etc, deve operare per una significativa rivoluzione
culturale.
L'omofobia viene frenata dalla certezza della pena, impedita
nella sua forza violenta da strutture preventive ma viene distrutta solo dalla
cultura. Perché lo sviluppo delle coscienze, la crescita culturale, rende
inutile ricordare quanto odiare l'altro per la diversità significhi disprezzare
tutto ciò che è diverso da un ideale inesistente. Perché chiunque è un fatto a se,
indipendentemente dal suo orientamento, dalla sua identità, dalla sua
provenienza. Non esiste una "razza ariana", ma una serie infinita di
tipologie di persone, impossibili da incastonare in categorie predefinite.
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