mercoledì 8 agosto 2018

Breve indagine sul teatro contemporaneo. Intervista al critico d'arte Tommaso Chimenti




Inutile dire che il teatro ne Il Condominio merita di occupare tanto spazio. Ne parleremo spesso e la ragione è semplice. Si tratta di una forma d'arte vasta, specchio dell'espressione umana, dei desideri collettivi, della percezione sociale e simbolica delle nuove problematiche e quant'altro. Si rischia di perderlo di vista nella sua continua evoluzione ed allora bisogna tenerlo sotto occhio, scrutarlo e analizzarlo di volta in volta.

Per farlo ho pensato bene di intervistare un critico d'arte e giornalista, il quale da anni recensisce spettacoli teatrali. Tommaso Chimenti ha scritto per Il Corriere di Firenze, Metropoli, Il Firenze, Metropoli Day, La Piazza, Casa Dove, Qui Firenze, Portale Giovani del Comune di Firenze e anche per la rivista della Biennale Teatro di Venezia nel 2011 e nel 2012.

Troviamo suoi articoli anche sui seguenti siti internet:  succoacido.it, scanner.it, corrierenazionale.it, rumorscena.com, Erodoto 108. Attualmente lavora per la rivista trimestrale Hystrio, per Ambasciata Teatrale, Lungarno e per il sito recensito.net .

Fa parte di due importanti giurie quelle ossia del premio Ubu e del Eolo. Fa parte dell'Associazione Nazionale Critici Teatrali e dell'Assemblea dei Votanti per il Premio Le Maschere del Teatro Italiano. Ha anche scritto per Il Fatto Quotidiano. Nel 2017 ha ricevuto il prestigioso premio Carlos Porto per la critica teatrale al Festival de Almada di Lisbona. Insomma una voce più che autorevole in questo settore. Ecco dunque la sua intervista!

1) Come definiresti il teatro contemporaneo? Risulta essere troppo variegato o comunque può essere incastonato in qualche modo?

C'è il monologo e spesso si tratta, anche se in molti non sono d'accordo sulla definizione, di “teatro civile”, una sorta di orazione che fa emergere problematiche attuali, scardina, quasi investigamente e giornalisticamente, un dramma, una ferita aperta. Ecco i vari Baliani e Lella Costa, Paolini e Celestini, la Musso e la Curino o Mario Perrotta. Un uomo solo al comando sulla sua seggiolina. Poi ci sono i grandi registi, quelli unanimemente riconosciuti a livello nazionale e internazionale: Armando Punzo e Pippo Delbono, Emma Dante e Romeo Castellucci. Abbiamo in Italia un grandissimo autore come Stefano Massini tradotto e messo in scena in tutto il mondo. Quindi, non si può far rientrare il teatro contemporaneo in caselle e categorie e contenitori. Bisogna vederlo, frequentarlo, avvicinarsi e trovare il linguaggio che più si confà al nostro gusto, che più si avvicina alla nostra riflessione. Perché il teatro deve far pensare, se non lo fa è tempo perso, per tutti. Il teatro deve “spostare”, scuotere, mettere in crisi, far vacillare, senza dover convincere necessariamente, le certezze. Il teatro ci parla, sta a noi ascoltarlo. Ecco potremmo creare due grandi spazi, nel primo c'è l'opera d'arte che ci guarda e ci dice qualcosa che dentro riverbera e continua a martellare e macerare come un tarlo anche quando è terminata la piece, nel secondo ci sono quei bellissimi e grandissimi show, colorati e tecnicamente perfetti che sono “maraviglia” ma non attivano né mettono in moto alcuna dinamica di pensiero né curiosità né voglia d'approfondimento.

2) Tra gli autori emergenti chi pensi possa in futuro diventare un punto di riferimento?

“Penso ad Emanuele Aldrovandi del quale ho seguito in questi ultimi anni messinscene tratte dai suoi testi come “Il Generale” con Ciro Masella o “Nessuna pietà per l'arbitro” a cura della sua compagnia di riferimento i MaMiMò di Reggio Emilia o il recente “Isabel Green” dell'Atir.
Già emerso invece è Fausto Paravidino, il nostro Pinter, mi viene alla mente Riccardo Spagnulo, ex Fibre Parallele, ma ecco che mi spuntano anche i Fratelli Dalla Via. Di solito è il “Premio Riccione” che sancisce e certifica gli autori under 30 che, in qualche modo, negli anni a venire, lasceranno un segno tangibile”

3) Qual è il ruolo attuale del critico d'arte?

Potremmo dire: quello di sempre. Andare, vedere, sottolineare, cercare, approfondire, scrivere. E potremmo dire che esiste tutto un nuovo modo frutto delle tecnologie, dei social network soprattutto. Per altri ancora il critico è tornato ad essere quel professionista “militante”, in voga negli anni '70, che accompagnava e sosteneva, con i suoi mezzi, la scrittura appunto e lo sguardo, le compagnie nella produzione, nella creazione, anche nel viaggio, ovvero in tutto quello che anticipava e sedimentava il debutto, il prodotto finito, lo spettacolo pronto per lo spettatore. Per come lo intendo io, il critico teatrale deve soffermarsi e sottolineare le ombre, le frontiere, le fratture di pensiero, politiche, di senso e di interconnessione dell'opera scenica all'interno del contesto spazio-temporale nel quale viene pensata e prodotta, perché se il teatro è il frutto della società, la società stessa, grazie all'opera d'arte, riesce a pensarsi, ad argomentarsi, a capirsi meglio.

4) Come si possono avvicinare i giovani a teatro?

Primo e fondamentale impulso potrebbe, e dovrebbe, arrivare dalla scuola non certo, come accade molte volte oggi, con la “deportazione di massa” degli studenti ad assistere a recite noiose e obsolete ma con l'ingresso come materia scolastica del “Teatro” sia sul fronte attoriale ma anche di scrittura e perché no, scenografia e tecnica. Se conosci le pieghe interne del sistema lo capisci meglio e ne comprendi la complessità.

5) Il teatro contemporaneo ha un linguaggio troppo complesso o è un luogo comune?

Non posso che dire che oltre ad essere un luogo comune di chi non si reca spesso a teatro è anche una semplificazione e una generalizzazione. La nuova drammaturgia prende spunto ed ha i piedi ben piantati nell'attualità e ci racconta l'oggi o ne dà una sua partitura, una sua interpretazione. Semmai possiamo dire il contrario, che sono proprio gli inserti contemporanei, i segni disseminati nel testo e nella regia, che molte volte avvicinano, con rimandi e citazioni spesso pop, provenienti dal mondo della musica o dal cinema o dalle serie tv, il pubblico, soprattutto quello giovane. Gli spettacoli di Antonio Latella, Emma Dante o Michele Sinisi hanno un linguaggio complesso? Dissento.

6) Quali autori del passato andrebbero riscoperti?

Penso a Scarpetta, ne è un cultore Arturo Cirillo, o Franco Scaldati. Vorrei vedere più spettacoli realizzati sulle parole di Antonio Tarantino. Nella schiera degli autori stranieri penso a Marlowe, purtroppo schiacciato dai tanti Shakespeare, mentre ne abbiamo in abbondanza di Ibsen e di Beckett.



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