venerdì 24 agosto 2018

Normalità e follia nel thriller di Elia Banelli



Per gli scrittori c'è una buona notizia. Diverse case editrici sono disposte a pubblicare il loro romanzo. Si tratta di piccole realtà ma molto utili per farsi conoscere e fare gavetta. Per questo stiamo riuscendo a parlare con molti autori, tracciando un percorso d'indagine sulla cultura contemporanea. Tra questi autori oggi abbiamo avuto modo di conoscere Elia Banelli.

1) L'uomo dei tulipani è incentrato su un indagine sorprendente, generata dalla mente contorta di un assassino spietato. In cosa il tuo thriller si differenzia dagli altri dello stesso genere? In quali novità narrative s'imbatterà il tuo lettore?

A mio parere la novità introdotta dal romanzo è la presenza di un atmosfera meno cupa, tipica del thriller classico metropolitano, ma più scanzonata e aderente alla realtà, senza rinunciare alla suspence, seguendo lo stile del giallo italiano di provincia. I personaggi risultano complessi e interessanti, ognuno con le proprie sfumature psicologiche, ma rientrano in una sfera di credibilità che li rende familiari e simili ai nostri amici, conoscenti o vicini di casa. Il tempo della narrazione è scandito dalle abitudini della vita quotidiana. Anche in presenza di un’indagine o di un omicidio non si rinuncia, per esempio, a bere un caffè o mangiare un panino al bar in pausa pranzo o concedersi una battuta che sdrammatizza.

2) Anche perché l'Italia è diversa dal punto di vista della criminologia rispetto agli states. Dai noi manca una presenza così costante e forte di "killer psicopatici". Ciò ti ha spinto a creare un colpevole più "disturbato" al fine di mettere alla prova la tua fantasia e quella del lettore oppure hai creato un nemico più vicino alla nostra quotidianità? O ancora hai cercato un punto d'incontro?

Si, l’immagine del serial killer è senza dubbio una componente tipica della società americana. Da noi vige di più l’ambiguità della “zona grigia”, il confine labile tra normalità e follia, quella forza inspiegabile che induce persone all'apparenza tranquille e considerate “normali” a compiere una strage o azioni criminose imprevedibili. I miei personaggi subiscono così una lenta e graduale degenerazione verso la zona oscura, l’abisso della mente da cui non c’è ritorno o redenzione. L’immagine dell’uomo qualunque che viene risucchiato dal Male la ritenevo più affascinante e più in grado di stimolare la mia fantasia, anche perché è più imprevedibile e in linea con la realtà della nostra società, a cui aggiungo l’ipocrisia, il perbenismo, l’arrivismo spicciolo e l’arroganza del potere e dei piccoli notabili di provincia. Tutte caratteristiche che a macchia di leopardo coinvolgono i miei personaggi.

3) Perché nel nostro paese i "mostri" sono persone normali che d'un tratto degenerano? Qual è la fondamentale differenza sociale che passa fra l'italia e gli U.S.A?

Da noi storicamente è così,  a parte gli omicidi del “mostro di Firenze” sono rari i casi di serial killer in Italia. Il perché è difficile da spiegare sociologicamente. Senza dilungarsi in discorsi complessi, direi che mentre gli Stati Uniti sono una società più giovane e complessa, più moderna e recente, quindi maggiormente  dedita alla”spettacolarizzazione” dell’immagine e alle “dimensioni amplificate” degli eventi, il nostro resta un paese in sostanza piccolo, spesso provinciale, ancorato a tradizioni post-contadine e con una forte presenza della cultura cattolica. Questa caratteristica di società in apparenza “chiusa” all'esterno produce una dimensione “privata” molto più vivace, occulta e imprevedibile rispetto alla sua immagine esterna. Da noi il Male germoglia a poco a poco perché è limitato dal controllo della comunità e della società. Negli States ci sono meno filtri.

4) I personaggi nei tuoi romanzi vivono una condizione periferica? Vivono una condizione sociale repressiva?

In realtà quasi tutti i personaggi del romanzo vivono una condizione sociale piuttosto “benestante” e all'apparenza appagante. E’ il tipico benessere della provincia italiana che conduce alla noia e alla costante ricerca di “emozioni forti” che scatenano azioni imprevedibili e borderline. Solo un paio di loro subiscono davvero una condizione di regressione economica che li porta a compiere (o voler compiere) una serie di azioni criminose. Per il resto quasi tutti i personaggi non sono repressi economicamente ma lo sono socialmente e psicologicamente, poiché in alcuni di loro si sviluppa quel “male di vivere” tipico delle società moderne e sviluppate. Per azzardare un paragone: c’è poco Emily Dickens e molto American Psyco anche se con le dovute caratteristiche “italiane”.

5) La società italiana verso quale direzione si sta evolvendo? Sempre piu vicina o distante dai bisogni psicofisici dell'individuo?

Viviamo un paradosso generale dettato dal progresso tecnologico: con internet e i social siamo ovunque, sempre connessi con il mondo, ma nello stesso tempo siamo più soli e chiusi in noi stessi. Rispetto a venti anni fa vedo la società italiana più introversa e superficiale, più egoista e diffidente. Abbiamo a disposizione una marea di informazioni ma siamo più poveri nel linguaggio, approfondiamo di meno, leggiamo di meno, siamo più vittime di propaganda e fake news. In questo senso siamo più distanti dai bisogni essenziali dell’individuo. Solo una fetta ristretta della società, una nicchia, riesce a vivere pienamente e consapevolmente le ricchezze della vita. Gli altri, in genere, si accontentano di postare una vita artificiale su Facebook e Instagram.

6) Progetti per il futuro?

Continuare a scrivere, perché è la mia passione e ragione di vita, senza non sarei me stesso. Sto lavorando al sequel de “L’uomo dei tulipani” e mi auguro che verrà  letto e apprezzato come il primo romanzo.

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