lunedì 27 agosto 2018

L'arte converte il male? La risposta nei romanzi di Giorgia Tribuiani



I romanzi contemporanei hanno tanto da dire. Coinvolgono altre forme d'arte, esplorano l'uomo, usufruiscono dei recenti sviluppi delle scienze e delle discipline umanistiche, guardano al presente e poi se ne staccano. Giorgia Tribuiani guarda con preoccupata ammirazione l'essere umano e dalle sue osservazioni trae del materiale molto interessante per i suoi romanzi, veri e propri viaggi psicologici.

1) Come definiresti il tuo stile?

 Nel mio romanzo "Guasti", avendo l'obiettivo di portare il lettore direttamente nella mente della protagonista, ho optato per un largo uso del discorso indiretto libero, con passaggi tra prima, seconda e terza persona: questa scelta ha generato torsioni sintattiche e uno stile talvolta piano (per esempio durante i dialoghi), talvolta ossessivo e ridondante, appunto per sottolineare lo stato alterato di Giada. Scelte stilistiche sono anche l'assenza dei virgolettati e frasi che si concludono senza punteggiatura o con un semplice trattino.

2) L'arte, posta anche in maniera inquietante, fa da sfondo al romanzo. Come mai questa scelta? C'è un qualcosa di inquieto nella protagonista? L'arte è un modo per appagare o amplificare questo stato quasi psicotico dei personaggi?

Il verbo che sento più mio, riguardo al rapporto tra arte e inquietudine, è “convertire”: credo che l’arte possa prendere il male, il dolore, quello che di vero c’è nella sofferenza e provare a convertirlo in qualcosa di bello; trasformare una forza che nasce per distruggere in una forza creatrice.
La stessa Giada, durante un monologo che è per me una sorta di dichiarazione di poetica, afferma che l’arte permette di “trovare al male un senso e una posizione; una giustificazione”. Il dolore, se trasformato in opera, cessa di essere gratuito e diventa forse più tollerabile.

3) Nel tuo romanzo poni la protagonista dinnanzi ad una scelta davvero lacerante. Simbolicamente cosa hai voluto rappresentare? Il dubbio che ruolo ha nella tua narrativa?

Con la morte (e trasformazione in opera d’arte) del compagno, e successivamente con l’acquisto del cadavere plastinato da parte del collezionista, Giada è chiamata a rispondere a questa domanda: vuoi continuare a vivere all’ombra di un altro, a cercare alibi, a scegliere di non partecipare al gioco della vita nell’illusione che chi non gioca non possa perdere? oppure è arrivato il momento di abbandonare la condizione di “guasto” esistenziale e provare finalmente ad agire?
Io penso che il dubbio sia l’anima di un’opera di narrativa. Come lettrice ho sempre amato i libri capaci di stimolare in me una riflessione, un pensiero nuovo, così il mio desiderio era che anche il mio romanzo si presentasse come un “libro di domande”, evitando di offrire risposte preconfezionate ai lettori.

4) Quali sono le domande che insorgono dalla lettura del tuo romanzo?

Sono presenti quesiti espliciti che riguardano la natura dell’arte (un uomo può essere un’opera d’arte? esistono dei limiti etici a ciò che può essere definito arte?), mentre credo che le domande relative alle relazioni assumano sfumature diverse a seconda dell’occhio che legge: ci si può chiedere fino a che punto sia giusto vivere in funzione di qualcun altro; ci si può interrogare su quante volte questo altro non sia solo un alibi utile a giustificare la nostra immobilità; ci si può guardare e domandarsi: lo sono anche io, “guasto”? riesco a lasciare andare un passato che ha smesso già da tempo di farmi sentire “vivo”? In questo senso la storia di Giada vuole essere uno specchio: offrire spunti che poi, arrivati al lettore, possano diventare domande.

5) Alle domande esplicite presenti nel romanzo dai delle risposte altrettanto chiare?

No, come accennavo il mio desiderio è proprio di far sì che sia il lettore a trovare le proprie risposte, senza riceverne di preconfezionate. Ovviamente  trattandosi poi di un romanzo capita che a emergere siano le riflessioni della protagonista, risposte che tuttavia non necessariamente coincidono con quelle dell’autrice: nel momento in cui Giada afferma di trovare inaccettabile la trasformazione di un uomo in opera d’arte, non bisogna dimenticare che a parlare è una donna coinvolta emotivamente da questa trasformazione.

6) Progetti futuri?

Ho scritto un nuovo romanzo che si intitola “Blu”: è la storia di un’ossessione nei confronti della colpa; della scissione di una personalità che vuole a tutti i costi proteggere ed esercitare la purezza ma non riesce ad annientare la propria metà oscura. Presenta diversi punti di contatto con “Guasti” e con il mondo della performance art, e apre con una frase di Antonin Artaud: "Credo che da me venne fuori un essere, un giorno, che pretese d’essere guardato".

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