martedì 17 luglio 2018

Intervista al filosofo Giovanni Lamagna


Col nostro blog continuiamo a dare voce a tutte quelle realtà che stanno contribuendo alla crescita o all'analisi della nostra società. Oltre alle associazioni e agli admin delle pagine Facebook vogliamo dar voce anche a scrittori, filosofi, scienziati, registi e quant'altro. Oggi abbiamo deciso di intervistare un filosofo Giovanni Lamagna

1) Qual è la funzione della filosofia nella società contemporanea?

Non credo che la filosofia abbia una grande importanza oggi, nella nostra società contemporanea dell’Occidente ipersviluppato. Ammesso che l’abbia avuta mai, in altre società e in altre epoche.

I filosofi sono stati vissuti in tutte le epoche e in tutte le società come persone un po’ strane, stravaganti, che si ponevano problemi a cui la grande maggioranza degli altri uomini o dava poca importanza o era completamente indifferente.

Lo sono ancora di più, però, nella nostra società contemporanea dell’Occidente ipersviluppato, nel quale il paradigma dominante è quello produttivistico, della crescita, del PIL, dell’arricchimento facile, del pensiero veloce.

Può avere la filosofia ancora una funzione nella nostra società, odierna, di questa parte del mondo?

Può averla. Ma dovrà essere una funzione da bastian contrario. I filosofi potranno svolgere ancora un ruolo, ma dovranno dire cose spiacevoli e impopolari.

Dovranno dire, soprattutto, che, per come sta andando oggi, il mondo andrà a sbattere, sta andando verso la sua autodistruzione.

Il mondo oggi è come una macchina che va a trecento all’ora, ma è senza una guida e non sa dove vuole arrivare.

I filosofi hanno il compito (come del resto anche gli altri uomini, ma i filosofi con qualche responsabilità in più) di osservare le cose, valutarle e indicare possibili alternative.

2) Quindi secondo lei in nessun epoca ha mai avuto importanza?

Non mi sembra di aver detto questo. Ho detto solo che i filosofi non sono mai stati molto popolari, anche in altre epoche. Oggi poi…

Ricordo un’affermazione di Gianni Agnelli di qualche anno fa: “Oggi abbiamo bisogno di ingegneri, non di filosofi.”

3) Lei si ritiene un "bastian contrario"? Contro quali tendenze sta impegnando la sua speculazione filosofica?

Sì, io presumo (o, quantomeno, mi illudo) di essere un bastian contrario, cioè di essere uno fuori dal coro, che spesso va in senso contrario a quello verso cui va il gregge.

Varie sono le tendenze oggi in voga contro le quali mi sento impegnato. La risposta alla sua domanda richiederebbe dunque un discorso molto lungo e articolato.

Comunque due sono le tendenze principali contro le quali cerco di camminare, di pensare, di parlare e di scrivere.

La prima: quella di vivere prevalentemente fuori, all’esterno, nel mondo dell’agire, anziché dentro, all’interno, nel mondo del pensare o, meglio, del meditare e del contemplare.

Una delle tendenze caratterizzanti del nostro tempo (anche se non solo, a dire il vero del nostro tempo; ma il nostro tempo l’ha particolarmente acuita) è quella di privilegiare (a voler usare un eufemismo) l’azione sulla contemplazione.

Io privilegio esattamente il contrario: la contemplazione sull’azione.

La seconda tendenza dominante del nostro tempo è quella che, non a caso, viene definita del “pensiero unico neoliberista”, del T.I.N.A. (That is not alternative), secondo la quale ai mercati bisogna lasciare una libertà senza limiti, così essi potranno produrre la massima ricchezza possibile, la quale poi (per un effetto naturale, meccanico…) gocciolerà dalle tavole dei ricchi anche sulle bocche dei più poveri (teoria del “trickle-down”).

Ritengo che quest’ultima teoria non abbia alcun fondamento scientifico, che sia stata oltretutto già ampiamente smentita dagli ultimi dieci anni di crisi economica del mondo occidentale ipersviluppato. Ma che essa rimane, nonostante tutto, ancora prevalente nel pensiero comune. Contro di essa mi sento, dunque, impegnato a mettere in campo quel poco di conoscenze e di capacità intellettuali di cui sono in possesso.

4) Qual è l'alternativa migliore al T.I.N.A.?

Non sono certo un economista, ma, proprio da un punto di vista filosofico, che mi è più proprio, non mi rassegno all’idea che non ci siano alternative all’attuale sistema economico-sociale.

Non mi rassegno all’idea che l’uomo possa, anzi debba, vivere in funzione dell’ideale del profitto e che, quindi, la società sia destinare ad essere e permanere come una specie di giungla, nella quale homo homini lupus.

Penso anche io che nell’uomo sia presente una dimensione ferina, che lo ha reso (almeno finora) un feroce competitore degli altri uomini, ma penso anche che in lui conviva una dimensione tipicamente umana, che lo rende capace non solo di collaborazione, ma perfino di compassione ed empatia verso i suoi simili.

Anzi, penso che, se la storia umana è andata avanti finora, se l’umanità non si è ancora autodistrutta, ciò è dovuto al fatto che, nonostante tutto, ha prevalso (almeno finora) la seconda dimensione sulla prima.

E che, quindi, non sia del tutto velleitario e utopico immaginare che questa seconda dimensione, tipicamente umana, possa, prima o poi, prevalere definitivamente e cancellare del tutto (facendola diventare una sorta di tabù, come l’incesto) la prima dimensione, quella ferina e puramente animale.

Immagino, quindi, una società non più governata dai mercati, nella quale vige la legge della “mors tua vita mea”, ma una società diventata finalmente comunitaria, nella quale viga la legge della “vita tua vita mea”.

Una società dove l’ideale non sia più riposto nel profitto individuale o nell’accumulo di beni materiali, ma nella realizzazione il più completa possibile, dal punto di vista umano, di ogni individuo, in collaborazione, anzi in spirito di fraternità, con gli altri individui, non più individui isolati in una società anonima di massa, ma persone integrate in una comunità retta dai valori/ principi della libertà, della uguaglianza e della fraternità.

5) Una società del genere dovrà formarsi gradualmente o crede nella terapia d'urto?

Non credo per niente in quella che Lei chiama “terapia d’urto”, cioè nella “rivoluzione”.

O, meglio, chiarisco: io credo che ci sia bisogno oggi di una vera e propria rivoluzione; ma non nel senso in cui questa viene comunemente intesa; cioè come atto insurrezionale di pochi, le cosiddette “avanguardie”.

La storia ha più volte dimostrato che le rivoluzioni così intese hanno dato origine (subito o quasi subito) a sistemi politici (anzi regimi) autoritari.

Io mi sono più volte definito un rivoluzionario, quanto agli obiettivi del cambiamento oggi necessario, ma un riformista, quanto ai tempi, agli strumenti e ai metodi del cambiamento da realizzare.

Con un’espressione che prendo a prestito da Paolo Flores d’Arcais mi definisco un “riformista radicale”.

La prima rivoluzione da realizzare per me è di tipo culturale e questa non può avvenire con una semplice “presa dei palazzi del potere”, ma può avvenire solo in maniera lenta e graduale attraverso un processo di coscientizzazione collettiva.

Quando questo processo avrà raggiunto il necessario livello critico, si sarà cioè formata la massa critica adeguata, avverrà come processo spontaneo, perché oramai maturo, la rivoluzione anche economica e, quindi, sociale, e, quindi, politico-istituzionale, che immagino io.

Le cosiddette “rivoluzioni” armate, violente, portate avanti da ristrette avanguardie, per me sono solo pericolose e dannose scorciatoie. A cui fanno seguito inevitabili processi di reazione e restaurazione. Vedi (per fare solo due esempi notissimi) la Rivoluzione Francese del 1789 e la Rivoluzione Russa del 1917.

6) Qualora dovesse restare questo sistema economico per molto tempo quali saranno le conseguenze?

Tre mi sembrano le conseguenze più importanti: 1) un accrescimento delle disuguaglianze economiche e sociali; 2) un aggravamento della crisi della democrazia liberale, 3) un peggioramento dell’ecosistema planetario.

Tutti processi già ampiamente in atto e giunti quasi al punto di non ritorno.

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